La casa di Andrea Mantegna


È stata definita «uno dei più intriganti ed assoluti edifici del Rinascimento», «un corpo semplicissimo, non albertiano, ma di una limpidità semmai lauranesca spinta a conclusioni ancor più assolute». Non c'è nulla di accidentale in questi due diversi modi di porsi di fronte al complesso architettonico che Andrea Mantegna ha voluto progettare perché fosse insieme sua abitazione e bottega.
Essi esprimono la complessa impressione che nasce dalla analisi dell’edificio architettonico che, nella semplicità generale, propone invece un impianto volumetrico certamente inusitato. Infatti all’interno del blocco parallelepipedo che si percepisce all’esterno è inserito un corpo cilindrico in basso, inscritto in un cubo che lo sovrasta. Attualmente è leggibile come cortile della casa, ma alcuni segni nella muratura lasciano intuire che la parte inferiore potesse essere coperta o per lo meno preparata per esserlo. Certamente questo modo di intendere l'impianto di un edificio può ben essere rimandato all’idea dello stesso Mantegna.

Infatti appare consono sia alle architetture da lui dipinte sia all'ambiente culturale in cui Mantegna opera. La casa rappresenta una immagine architettonica di una studiata geometria nelle linee e nei volumi: il criterio matematico che appare dominante nel perseguire un ideale di armonia può ben far pensare ad una derivazione da L. B. Alberti. Nel contempo, però, il pensiero di Mantegna in merito alla progettazione rivela un influsso della trattatistica a lui coeva, soprattutto di quel Francesco di Giorgio Martini i cui disegni potevano anche essere noti al pittore attraverso l’ambiente di Urbino. Se poi si pensa che la composizione su linee geometriche, su leggi rigorosamente simmetriche alla maniera dell'ambiente toscano, sembra perseguire un ideale di astrazione e di euritmia, si può chiaramente supporre che Mantegna sia pervenuto all’ideazione della propria casa attraverso un processo di progettazione non riferibile ad alcuna tradizione architettonica specifica. Si vuole cioè indicare che l’edificio non appare come un episodio isolato nella ricerca di equilibrio compositivo propria delle opere di Andrea Mantegna, ma si inserisce in un processo scaglionato che trova i suoi rimandi nella soluzione dell’oculo della volta nella camera dipinta nel castello di San Giorgio e, parzialmente, nella stessa cappella funeraria nella basilica di Sant’Andrea. E, a questo proposito, Ragghianti parla di architettura del «pozzo» diversamente proposta, ma concettualmente presente, nella ricerca prospettico-spaziale di Mantegna. Quell’atmosfera urbanistica che l’artista aveva respirato a Padova e ritrovato in forma diversa a Mantova, ma non solo, è certamente alla base del tipo architettonico inteso da Mantegna per la propria dimora.
Una lapide angolare posta all’esterno della casa documenta il dono fatto dal marchese Ludovico Gonzaga nel 1476 del fondo vicino a San Sebastiano, sul quale Mantegna fa erigere l’edificio forse con la partecipazione di Giovanni da Padova. Mantegna certamente vi abitò poco prima del 1496 ed almeno sino al 1502 quando la cedette al marchese Francesco Gonzaga. Ai Gonzaga rimase sino al 1507 per poi divenire proprietà di famiglie nobili mantovane che, nel proseguio dei tempi, vi apportarono molte e sostanziali modifiche. In epoca imprecisata fu poi inglobata nell'edificio attiguo cosi da costituire con esso un unico grande fabbricato; fu quindi adibita a caserma, poi a sede scolastica.

Fu riportata al suo nobile isolamento nel 1940-41; dopo accurati interventi di restauro, è stata restituita la struttura architettonica originaria insieme a quanto è rimasto delle decorazioni, certamente mantegnesche. Nel cortile si intravedono tracce di decorazione pittorica o per lo meno l’inciso che comunica il senso del disegno originario. Sull’architrave sovrastante la porta che immette in una sala dietro la quale e il giardino, si legge la scritta «ab olympo». L'epigrafe è forse da collegarsi alla trattatistica di Leon Battista Alberti che avvicina più volte la figura del pittore ad un «dio».
Nell’adozione di questo motto si configurerebbe l'ideale umanistico del grande artista, conscio della propria arte, in una contaminazione profana del senso del divino. È senz'altro da tener presente che «ab olympo» è uno dei motti di casa Gonzaga; inoltre ritorna al centro di quello che era paliotto d’altare nella cappella in Sant'Andrea, sotto l’immagine dell’aquila, ulteriore simbolo di elevazione. Un altro rimando alla cappella di San Giovanni Battista è presente nella decorazione interna della casa del Mantegna: in una sala del primo piano, tra il cortile e il giardino, è affrescato lo stemma in modo similare a quello dipinto al centro della calotta ribassata. Nella sala esso è affrescato su due pareti opposte.

Per quanto concerne gli altri elementi a fresco, questi consistono soprattutto in fregi con motivi continuamente variati, a intreccio con motivi lineari basati su eleganti soluzioni di proposte fitomorfe. Meritevoli di segnalazione sono le semplici ma raffinate composizioni dipinte sulle mensole in corrispondenza dei travi dei soffitti a cassettoni: nello spazio limitato si delineano raffinati giochi lineari con palmette od esili girali, quasi a ripresa di quei motivi decorativi frequentemente adottati dal Mantegna nei suoi dipinti. Sulla parte inferiore della parete di una sala del primo piano è dipinto un soggetto che potrebbe anche essere di mano dello stesso Mantegna. Sia pure in una posizione inusitata e non facilmente giustificabile, una serie di anelli incatenati, simili a quelli affrescati nella camera picta in castello, inquadra nella zona centrale un cerchio su cui gira la scritta «Par un desir» sovrapposta al sole. Chiaramente il motivo costituisce una ripresa del motto e dell’emblema propri di Ludovico II Gonzaga, più volte rinvenibile negli affreschi di palazzo Ducale o coniato su monete coeve. Sporadiche e limitate tracce di decorazioni a fresco sono state correttamente lasciate a vista in altri ambienti della casa: lasciano intravedere quale profusione pittorica doveva impreziosire l'interno dell’edificio, ma denunciano anche le evidenti sfasature derivanti dalle alterazioni anche strutturali operate nei secoli. È da ricordare che anche all’esterno è rimasto un larvato segno della decorazione originale: lo si ritrova nel cornicione a guscio con palmette su fondo giallo. Nel licenziare questa breve scheda illustrativa, mi piace ripensare all’antico splendore che doveva contraddistinguere la casa di Andrea Mantegna rispetto agli altri edifici abitativi privati esistenti alla fine del sec. XV in Mantova. Ci consta di una visita fatta da Lorenzo il Magnifico nel 1483; il signore di Firenze, squisito umanista, ammira nella casa del Mantegna le pitture, le teste di rilievo ed altre cose antiche. Dallo Schivenoglia e da una lettera di Isabella d’Este ci perviene l’eco di quanto solenne debba essere stata la processione per portare trionfalmente la pala della «Madonna della Vittoria» dalla casa di Andrea Mantegna sino alla chiesa appena costruita, denominata appunto «Santa Maria della Vittoria».


Testo di Giuse Pastore, tratto da La Cappella del Mantegna in S. Andrea a Mantova, Mantova 1986.


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